E’ uscito uno splendido libro, “La pelle dell’orso” di Margherita D’Amico. Un libro che mi richiama alla memoria la lettura di un classico dei diritti animali, “Gabbie vuote” del filosofo americano Tom Regan. Con un linguaggio asciutto e spoglio, ci troviamo davanti la descrizione delle condizioni di vita degli animali di allevamento: ingrassati e ipernutriti perchè vi si ricavino più bistecche possibili, maltrattati e lasciati morire senza cure perchè non possono essere somministrati farmaci agli animali che diventeranno bistecche, amputati di ali e becco, rinchiusi a vita e sottoposti a luce artificiale, alla sete e al caldo. E non diversa è quella degli animali da laboratorio: soli, affamati, torturati con la giustificazione di fare qualcosa di utile per l’uomo, mentre ormai si è ampiamente dimostrato quanto siano fasulli i risultati di ecrti esperimenti.
Ma che senso ha tutto questo? Perchè si parte da una concezione così antropocentrica del mondo da giustificare la sofferenza di milioni di animali in nome del “benessere” umano?
Il presupposto che tutto sia lecito per gli uomini, e che la vita animale valga per forza meno della nostra, nasconde una presunzione sconfinata e soprattutto una mancanza di compassione, nel senso antico di questo termine di origine latina. Compatire significa “soffrire con”: significa immedesimarsi nelle sensazioni ed emozioni altrui, che si tratti di esseri umani o di animali. E la compassione è la base dei sentimenti senza i quali la nostra vita sarebbe una nuda esistenza senza senso.