Da quando ho fatto una scelta etica importante, e smesso di mangiare carne e pesce e tutti i prodotti che implicano uno sfruttamento degli animali, mi sono sentita meglio. In pace con me stessa e in pace col mondo, oltre a sentirmi più carica di energia positiva e a provare una serenità che non avevo mai conosciuto prima di fare questa scelta. È la serenità di chi non è complice. Sono una giornalista e credo che il mio lavoro sia nobile, bello e difficile. La mia missione è guardare dentro le cose, avere il coraggio di osservare tutto e di capire per poterlo raccontare poi a chi mi legge e mi ascolta. Ho conosciuto delle persone straordinarie, che hanno consacrato la loro vita e il loro tempo a parlare per chi non ha voce. Persone che lavorano nell’ombra, che dedicano il loro tempo a guardare in faccia il sangue, la morte, le ferite, ad ascoltare le urla di dolore e di paura di milioni di animali. A fare i conti col silenzio, quando non c’è più nulla da fare. Cosa provano le persone che si introducono in un allevamento intensivo e non possono fare altro che filmare, fotografare, documentare quel dolore ? Quanto costa lasciar morire, perché non esistono altre possibilità, nella speranza di poter far vivere in futuro altri animali? Questa strage si consuma ogni giorno lontano dalle nostre case, dai supermercati dove l’abilità del marketing permette di camuffare questo dolore e renderlo inesistente, muto, coperto da etichette colorate e fasulle. A pochi chilometri da noi, nei capannoni, nei camion che trasportano animali ‘vivi’, come si legge, si stanno consumando tragedie rese possibili dalla complicità di chi si volta dall’altra parte. Impariamo allora a leggere le etichette, e a capire se il prodotto che stiamo per acquistare ci permette di essere coerenti con la nostra scelta etica, se proprio non abbiamo il coraggio di accendere la televisione, aprire il computer e assistere a uno dei numerosi reportage disponibili per chiunque abbia voglia di documentarsi. Io li sento piangere e urlare anche quando non sono lì vicino, perché una volta che hai visto uno di quei filmati o, peggio, hai assistito alla morte di un animale preso a calci e botte perché non voleva andare verso il supplizio e la fine, quelle urla non ti lasciano più. Ecco perché scrivo, quando posso, di animali, suggerendo i piatti che non contengono dolore, ma anche raccontando ciò che gli altri non vogliono sentire. Ritengo sia doveroso dare spazio e voce a quegli eroi che entrano nei luoghi del dolore per mostrarli al mondo.
Gli animali sono esseri intelligenti, con una propria personalità, che provano sentimenti e paure, ma che non possono combattere contro le gabbie di ferro che li tengono schiacciati per terra, che impediscono loro qualsiasi movimento, che servono a farli ingrassare, fermi immobili, senza mai vedere un raggio di sole, senza sentire il contatto con l’erba fresca, a suon di integratori e antibiotici. Senza la lotta ad armi pari non c’è giustizia. Ognuno di noi ha un potere straordinario: fare quella scelta etica di mangiare cibo che non contenga sofferenza, che non sia un pezzo di animale, che non sia prodotto dallo sfruttamento.
Scrivere di morte fa male, ma è peggio scrivere di cose futili e leggere, ignorando volutamente il dramma di chi non può difendersi. A modo mio getto ogni giorno un semino. Attecchirà, si trasformerà in una pianta? Forse sì e forse no, ma nel dubbio preferisco provarci.